martedì 27 aprile 2010

L'ASCOLTO DEL BAMBINO VITTIMA

“L’ascolto del minore presunta vittima di abuso”

Incontri di formazione per magistrati. Consiglio Superiore della Magistratura,
Roma, 17 giugno 2008.


dott. Claudio Foti:



La violenza sessuale sui bambini non avrebbe modo di prodursi in modo continuativo se non ci fossero adulti perversi interessati a costruire un cordone di silenzio attorno alle loro prede, se non ci fossero piccole vittime, incapaci di esplicitare con chiarezza il proprio malessere e, soprattutto, se non ci fosse un ambiente circostante tendente all’insensibilità e all’indifferenza e scarsamente disponibile all’ascolto dei bambini.

La violenza sui bambini è il risultato di una grave ostruzione della comunicazione sociale.
I blocchi sono due: le piccole vittime fanno fatica a chiedere aiuto in forme esplicite, gli adulti che li circondano fanno resistenza all’ascolto. Quando ogni comunicazione attorno all’abuso è bloccata,
quando è impedito ogni tentativo di rivelare e chiedere aiuto da parte della vittima o è sabotato ogni tentativo di prendere sul serio le richieste di protezione e di giustizia della vittima, l’abuso sessuale su un bambino diventa “un delitto perfetto”, come scrivono Gruyer e altri: viene messa una pesante pietra sopra la verità dell’accaduto e sopra il futuro della vittima.
La maggior parte degli abusi che si consumano finiscono per diventare “delitti perfetti”, il cui autore resta impunito e nell’ombra.

Sono gli adulti che entrano in contatto con il bambino, che devono imparare a mettere i più
piccoli nelle condizioni di esprimere il loro disagio, piccolo o grande, i loro problemi piccoli o grandi
riducendo il giudizio, la fretta, la pretesa di prestazione e aumentando l’accettazione, la
disponibilità mentale e di tempo, la vicinanza emotiva.
Solo se gli psicologi impareranno il linguaggio della comprensione empatica e dell’intelligenza emotiva, favoriranno il passaggio di tante vicende di abuso sui bambini dall’impensabilità e dall’indicibilità, all’orizzonte della comunicazione e della protezione, dall’oscurità del segreto alla prospettiva di un delitto, che non sarà più “perfetto”, ma che potrà trovare ascolto, cura e riparazione.


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Chi sono i protagonisti del conflitto culturale sul tema della validazione del
presunto abuso?


Da un lato psicologi ed operatori che, puntando sull’ascolto clinico, possono
entrare in contatto con vittime sempre meno disponibili a subire il segreto, l’imbroglio, il senso di
colpa associati all’abuso, vittime che sono in grado di aprirsi nella misura in cui si sviluppano
nuove possibilità relazionali ed istituzionali di ascolto partecipe (Gordon,1994) e di rispetto del
codice dei sentimenti (Goleman, 1995); dall’altro lato avvocati e psicologi, specializzati nella difesa
di indagati e di imputati di reati sessuali sui minori, tendono a sviluppare tesi funzionali alla difesa
dei loro assistiti, cercando di dimostrare essenzialmente che comunque non esistono procedure
psicologiche o giudiziarie per accertare con sufficiente certezza un abuso eventualmente
sussistente.
(…) La committenza di quest’ultima scuola di pensiero è data da un nuovo soggetto comparso
sulla scena sociale negli ultimi due decenni del secolo scorso con l’aumento vertiginoso dei
procedimenti penali per abuso e pedofilia: gli imputati di reati sessuali ai danni di minori, con uno
specifico interesse alla propria autodifesa e con una forte capacità di negoziazione sociale e
giuridica, sono diventati, direttamente o indirettamente, un importante committente di difese e
perizie legali, di pressioni giornalistiche, di ricerche sperimentali (Pope, Brown, 1996).

La committenza dei clinici spinge comunque a tenere la mente aperta a diversi ipotesi piuttosto che una sola.
Il committente bambino chiede in ogni caso di essere ascoltato...(...) La committenza dell’indagato e dell’imputato è maggiormente rigida: essa non chiede “Voglio essere compreso”, bensì - inevitabilmente – “Voglio essere scagionato!”.

(...) Non si può introdurre nella mente di un bambino un falso ricordo che non sia in qualche modo plausibile, già presente nei suoi script interni.

Si può costruire sperimentalmente nella memoria di un bambino il falso ricordo di uno smarrimento in un supermercato (Loftus, 1993) perché quello smarrimento riguarda un’esperienza già vissuta (magari in forme analoghe) o temuta dal bambino. Un analogo
tentativo di indurre un falso ricordo di un clistere anale invasivo ha ottenuto l’0% di successo nei
soggetti sperimentali (Pezdek, 1995).

(...)Le vittime tendono per lo più a rimuovere o a espellere dalla mente e non già a comunicare la
violenza subita. Una buona parte di queste violenze non sono mai state esplicitate a nessuno nel
corso dell’infanzia e dell’adolescenza. Solo una ridottissima percentuale (2, 9%) ha denunciato
all’autorità giudiziaria l’abuso sessuale subito. La maggior parte degli abusi rimane chiusa dal
silenzio e dal senso di colpa della vittima, avvolta nel segreto e nell’imbroglio, in una
sintomatologia che perde sempre più i nessi con le sue cause.

La negazione è intrinseca alla violenza. Non esiste una guerra o sterminio senza un sistema di propaganda impegnato a dimostrare la legittimità di quegli eventi o a sostenere che non si ha a che fare con guerra e sterminio, bensì con iniziative nobili e necessarie.

Non esiste storia di un genocidio senza una schiera di negazionisti o revisionisti tesi a dimostrare che a ben vedere genocidio non c’è stato.


Il furto di verità accompagna sempre la violenza sul bambino.


L’abuso si produce in due tempi: c’è il tempo dell’azione in cui si consuma il coinvolgimento sessuale e c’è il tempo della negazione nel quale l’adulto abusante trasmette al bambino il messaggio metacomunicativo implicito od esplicito: “Non devi accorgerti che questa è violenza…”, “Non è abuso, tutti i padri lo fanno…”ecc.

Nello scenario dell’abuso c’è un autore della violenza che attraverso la minaccia e il diniego punta a isolare la vittima dalle comunicazioni con il contesto sociale.

C'è poi un bambino che non riesce a porsi come emittente efficace della comunicazione per la presenza di pesantissimi ostacoli esterni ed interni alla rivelazione.

C'è infine un adulto, potenziale ricevente delle comunicazioni del bambino che spesso fa barriera all’ascolto delle emozioni e quindi lascia cadere di fatto le richieste di soccorso del bambino e i suoi tentativi di individuare e mettere alla prova un interlocutore adulto meritevole di fiducia.

mercoledì 21 aprile 2010

MERAVIGLIOSA NATURA!


A chi si ubriaca con la propria misera conoscenza ed ignora la verità della scienza: a chi diffonde assurde teorie a discapito dei bambini vorrei ricordare quanto sia Meravigliosa la Natura.
Potrei farlo con le parole di qualsiasi ricercatore e scienziato ma oggi scelgo alcuni passi di un noto studioso giornalista che dalla Natura estrae sempre e solo l’Essenza: Piero Angela.

"Il cervello del bambino è come una scacchiera. Se le mosse iniziali sono appropriate e l’impianto del gioco è ben sviluppato, la partita è ben avviata; ma se le mosse iniziali sono sbagliate sarà estremamente difficile risollevare le sorti del gioco.
Durante i primi anni, le “mosse” sono quelle fatte dai genitori, dalla madre in particolare, che è la prima vera maestra.
L’ambiente, non bisogna dimenticarlo, comincia già nel grembo materno: il feto comincia già a conoscere l’ambiente in cui vive attraverso il sangue della madre.

Appare con evidenza lampante che il rapporto tra madre e figlio va quindi molto al di là di ciò che noi chiamiamo affetto ed educazione. La madre è chiamata a svolgere un ruolo estremamente più vasto nello sviluppo mentale del bambino: è come una lampada solare che permette la crescita molecolare della sua intelligenza.
Fin dal primo giorno di vita quindi, madre e figlio giocano una partita a due. La madre è, per così dire, una tennista: ogni volta risponde ai lanci, rimanda la palla, e permette alle potenzialità del piccolo di esprimersi.

I ricercatori della John Hopkins University ritengono che un buon rapporto con la madre costituisca una base affettiva solida che consente al bambino di esplorare con sicurezza il mondo circostante, e gli consente quindi di sviluppare meglio la sua capacità di imparare. Questo atteggiamento gli permette anche di avere un migliore rapporto col prossimo, e costituisce già la base del suo futuro comportamento nella società.

Negli animali come negli esseri umani esiste una “segnaletica” istintiva, che portiamo dentro noi per via ereditaria e consiste in una serie di atteggiamenti, espressioni, gesti che non hanno bisogno di essere imparati perchè fanno parte di un repertorio “automatico”.

Un esempio: il neonato è già in grado di comunicare le sue sensazioni attraverso gli strilli o il pianto senza che nessuno gli abbia insegnato a strillare e piangere. Non solo: il pianto è diverso a seconda della sensazione da comunicare: dolore, fame, malattia, paura.
Un altro esempio ancora più evidente: i bambini sordi, ciechi e muti sviluppano il sorriso senza averlo mai visto. Esiste insomma un repertorio di “segnali” innati: la madre è il “ricevitore” ideale, capace di captare nel modo più efficace questi segnali, e di trasmetterne altri che il bambino riesce a percepire.

All’Università di Harvard il professor Wolff ha diretto il laboratorio che ha approfondito queste ricerche, scoprendo che il bambino possiede segnali innati molto più complessi di quelli esistenti negli animali, e che il bambino riesca a percepire l’ambiente emozionale che lo circonda attraverso i gesti, i sorrisi, gli sguardi della madre.

In questo scambio continuo tra madre e figlio, gli psicologi ritengono che abbia molta importanza anche il ruolo del bambino: egli infatti non è un elemento passivo, ma attivo, che stimola a sua volta la madre.

Scrive Wolff: “E’ un duetto che deve rispettare alcune sequenze: il bambino ha delle aspettative, cioè attende dalla madre determinate risposte, e anche la madre ha certe aspettative nei confronti del bambino, ognuno dei due interroga e risponde al tempo stesso”.

Infatti il primo e più importante incontro il bambino lo fa con la madre che organizza sin dall’inizio, il suo mondo fisico e intellettuale e gli consente di emergere piano piano dal buio mentale abituandolo a imparare, esplorare, immaginare, prima ancora che a leggere e a scrivere.
Per questo occorre che ogni madre diventi più “educatrice” che casalinga.
La madre deve essere consapevole che la sua intelligenza, il suo talento, la sua sensibilità, sono praticamente le sole cose che permettono ad un batuffolo umano di emergere dalla notte animale e diventare un essere pensante.
Tocca a lei plasmare, modellare, stimolare la nascita dell’intelligenza, della creatività, della personalità. Il suo compito è molto simile a quello di uno scultore".

(...)

venerdì 16 aprile 2010

Lettera di un Papà col cuore


"Cari PapàSeparati del web:
sono stufo ed annoiato di leggervi, stufo ed infastidito di sopportare il vostro sporcare l'immagine di noi papà degni di questo nome: papà, un mestiere meraviglioso che io e milioni di altri uomini facciamo dignitosamente in silenzio, nel puro rispetto dei nostri bambini. E rispettare i nostri bambini significa saperli ascoltare.

C'è una bella differenza tra reclamare i propri diritti di padre e distruggere invece l'immagine materna: se le mamme sono in passato state più "avvantaggiate" di noi come genitori non sarà forse perchè noi uomini continuiamo a dare un'immagine poco affidabile? Guardiamo la realtà per favore e prendiamo atto che purtroppo noi pur amando spesso allo stesso modo, per natura, non siamo responsabili quanto una mamma che nella maggior parte dei casi mette al primo posto il figlio, mentre noi, ahimè, troppo spesso mettiamo le nostre esigenze e ci convinciamo che siano quelle dei nostri figli.

Prendiamoci le nostre responsabilità e dimostriamo di essere degni padri prima d'intrapendere egoistiche battaglie che danneggiano i nostri bambini: ma purtroppo la cronaca nera, così come le statistiche, i dati ISTAT, non mi sembra stiano dimostrando un "miglioramento" della condotta paterna ma solo un nostro aumento spropositato ed ingiustificato di vittorie giuridiche, mai supportato da dati obbiettivi che dimostrino che effettivamente siamo migliori.

Penso che un uomo che si compiace di poter strappare un figlio ad una madre sia quanto di peggio possa esistere.


Sono stufo e arrabbiato di quanto sta accadendo ed è per questo che con convinzione e fierezza vi dico: facciamola finita di piangerci addosso e facciamoci un esame di coscienza semmai.
La verità è che spesso noi uomini diamo degli ottimi motivi alle nostre mogli per detestarci e poi utilizziamo il rancore che noi abbiamo generato in loro per dipingerle come streghe che usano i figli contro di noi. A parte questo, trovo ancor più preoccupante il fatto che noi uomini abbiamo la pretesa di equipararci alle madri: è una cosa talmente contro natura che solo una specie “evoluta” come la nostra poteva pensare. Siamo talmente evoluti che…

- ancora abusiamo sessualmente dei nostri figli;
- violentiamo le donne;
- le massacriamo di botte e rimaniamo pure impuniti;
- la nostra meta di “vacanza” preferita è la Thailandia;
- non siamo capaci di tenerci una donna ed alimentiamo il mercato della prostituzione per soddisfare i nostri “evoluti” istinti;
- per di più preferiamo i trans alle prostitute…;
- finché abbiamo potuto le abbiamo messe incinte e poi abbandonate ed ora che non possiamo più farlo, ci prendiamo la rivincita portando loro via i figli;
- non riusciamo ad accettare che al lavoro il nostro capo sia una donna;
- sottraiamo soldi alla famiglia per comprarci il suv;

Ci rode talmente tanto di non essere dei veri uomini che ora vorremmo fare le donne ed abbiamo pure il coraggio di parlare (sempre con un certo fastidio) di parità dei diritti a 360° e siamo talmente meschini che per giustificare le nostre pretese assurde ci nascondiamo dietro la più vile delle affermazioni: il bambino ha diritto di frequentare paritariamente entrambi i genitori, come se l’uno si equivalesse all’altro, quando lo sanno pure i sassi quanto la mamma sia importante ed indispensabile nello sviluppo psicofisico di un bambino: negarlo è da vili.

Ma diciamoci la verità: questa bella trovata dell’Affido Condiviso è solo un modo subdolo di troppi uomini di non pagare più gli alimenti: altrimenti, se veramente si voleva fare l’interesse dei bambini, perché non si è fatta una proposta di legge che migliorasse la messa in atto delle disposizioni “tradizionali” dei tribunali, ovvero affido alla madre con diritto di frequentazione del padre? In pratica, a detta di chi si lamenta, le madri impedivano di fatto ai padri di frequentare i figli anche se c’era una sentenza del tribunale che ne stabiliva tempi e modalità; quindi, invece di adoperarsi affinché i loro diritti, in questo caso legittimi, venissero rispettati, hanno preso la palla al balzo per denigrare tutte le donne ed arrivare con le loro pretese addirittura in Parlamento ed approfittare della situazione per arrivare a spaccare in due i figli sotto tutti i punti di vista, al solo scopo di non aprire più il portafogli o peggio vendicarsi andando a colpire la donna proprio nel suo punto più debole: i figli.

Mi chiedo che se ne faranno mai questi poveri bambini di questi miseri e vendicativi padri-separati del web".

Un padre.

lunedì 12 aprile 2010

PICCOLE CAVIE

Quelle piccole cavie

Da qualche anno molti psicologi, forse anche troppi, sono alla ricerca di nuove teorie da proporre sul “mercato” della psicanalisi, forse solo per un narcisistico bisogno di dire “qualcosa di nuovo” da anteporre a coloro che li hanno dignitosamente preceduti, un egoistico bisogno di popolarità. O ancor peggio: forse solo per assecondare le “esigenze” di un' epoca storica in crisi, esigenze politiche, economiche, strategiche, tutte tristemente spacciate per “culturali”. L’obbiettivo? Rinnegare la nostra meravigliosa Natura che ci vuole esseri Umani che pensano ed amano per trasformarci così in un esercito di soldatini di stagno, costretti a sopprimere le proprie emozioni per ubbidire alle megalomani esigenze di qualcun’altro. La storia nazista c’insegna come un singolo, perlopiù pazzo, abbia potuto plagiare migliaia di persone apparentemente “normali” convincendole ad assecondare disumane teorie volte a distruggere, eliminare, un’intera popolazione: uccidere milioni di persone innocenti, tra cui migliaia di anziani, madri e soprattutto bambini, a suo dire “pericolose” per la società, ma era la “sua” società: quella che lui, nella sua mente perversa aveva immaginato, desiderato.

Dopo un secolo ancora ci si domanda come tutto questo sia potuto succedere.

E già: com’è potuto succedere che dei bambini siano stati USATI per gli esperimenti di una persona disturbata? Assurdo?

Bè, è passato un secolo, ma non è passata la follia, sempre in agguato dietro l’angolo, e a rimetterci sono sempre loro: i BAMBINI!

Cosa fa lo Stato oggi per proteggere e tutelare i più deboli? Nulla: i bambini oggi sono legalmente gettati nelle fosse dei leoni, che siano i loro aguzzini, che siano le case-famiglia, che siano genitori violenti.

E così come qualche “scienziato” nazista seppe trovare l’assurdo consenso da parte del suo Regime per vivisezionare i bambini ebrei, oggi ci sono “scienziati” alla ricerca di teorie da inventare che consentano di giustificare atroci reati, come la pedofilia per esempio. O come il semplice strappare i figli alle proprie madri: violenza sempre più diffusa nei Tribunali odierni.

E con quale giustificazione tanta atrocità? La giustificazione che serve “di facciata” non è un problema: se non c’è s’inventa! E così, forti del fatto che la Psicologia non è Matematica e non è Scienza (e quindi non esige riscontri oggettivi di ciò che si sostiene) qualsiasi idea può essere lecitamente strutturata a proprio piacimento dallo psicologo di turno, anche inventata lì per lì, che subito per il Giudice diventa legge. E le vittime sono sempre i più piccoli, i più deboli, i cui bisogni e i cui desideri vengono trattati come carta straccia, spesso da deridere, da violare anche con un disumano orgoglio.
Ed è proprio a queste piccole cavie di oggi che penso quando ricordo il mondo in cui sono cresciuta io, appena qualche decennio fà, quando ancora esisteva una Scienza che riconosceva i bambini come individui, e una Coscienza che salvaguardava i loro diritti ad una vita serena. I loro diritti, oggi calpestati, di stare con chi li ha nutriti e cresciuti con la propria vita.