Incontri di formazione per magistrati. Consiglio Superiore della Magistratura,
Roma, 17 giugno 2008.
dott. Claudio Foti:
La violenza sessuale sui bambini non avrebbe modo di prodursi in modo continuativo se non ci fossero adulti perversi interessati a costruire un cordone di silenzio attorno alle loro prede, se non ci fossero piccole vittime, incapaci di esplicitare con chiarezza il proprio malessere e, soprattutto, se non ci fosse un ambiente circostante tendente all’insensibilità e all’indifferenza e scarsamente disponibile all’ascolto dei bambini.
La violenza sui bambini è il risultato di una grave ostruzione della comunicazione sociale.
I blocchi sono due: le piccole vittime fanno fatica a chiedere aiuto in forme esplicite, gli adulti che li circondano fanno resistenza all’ascolto. Quando ogni comunicazione attorno all’abuso è bloccata,
quando è impedito ogni tentativo di rivelare e chiedere aiuto da parte della vittima o è sabotato ogni tentativo di prendere sul serio le richieste di protezione e di giustizia della vittima, l’abuso sessuale su un bambino diventa “un delitto perfetto”, come scrivono Gruyer e altri: viene messa una pesante pietra sopra la verità dell’accaduto e sopra il futuro della vittima.
quando è impedito ogni tentativo di rivelare e chiedere aiuto da parte della vittima o è sabotato ogni tentativo di prendere sul serio le richieste di protezione e di giustizia della vittima, l’abuso sessuale su un bambino diventa “un delitto perfetto”, come scrivono Gruyer e altri: viene messa una pesante pietra sopra la verità dell’accaduto e sopra il futuro della vittima.
La maggior parte degli abusi che si consumano finiscono per diventare “delitti perfetti”, il cui autore resta impunito e nell’ombra.
Sono gli adulti che entrano in contatto con il bambino, che devono imparare a mettere i più
piccoli nelle condizioni di esprimere il loro disagio, piccolo o grande, i loro problemi piccoli o grandi
riducendo il giudizio, la fretta, la pretesa di prestazione e aumentando l’accettazione, la
disponibilità mentale e di tempo, la vicinanza emotiva.
Solo se gli psicologi impareranno il linguaggio della comprensione empatica e dell’intelligenza emotiva, favoriranno il passaggio di tante vicende di abuso sui bambini dall’impensabilità e dall’indicibilità, all’orizzonte della comunicazione e della protezione, dall’oscurità del segreto alla prospettiva di un delitto, che non sarà più “perfetto”, ma che potrà trovare ascolto, cura e riparazione.
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Chi sono i protagonisti del conflitto culturale sul tema della validazione del
presunto abuso?
Da un lato psicologi ed operatori che, puntando sull’ascolto clinico, possono
entrare in contatto con vittime sempre meno disponibili a subire il segreto, l’imbroglio, il senso di
colpa associati all’abuso, vittime che sono in grado di aprirsi nella misura in cui si sviluppano
nuove possibilità relazionali ed istituzionali di ascolto partecipe (Gordon,1994) e di rispetto del
codice dei sentimenti (Goleman, 1995); dall’altro lato avvocati e psicologi, specializzati nella difesa
di indagati e di imputati di reati sessuali sui minori, tendono a sviluppare tesi funzionali alla difesa
dei loro assistiti, cercando di dimostrare essenzialmente che comunque non esistono procedure
psicologiche o giudiziarie per accertare con sufficiente certezza un abuso eventualmente
sussistente.
(…) La committenza di quest’ultima scuola di pensiero è data da un nuovo soggetto comparso
sulla scena sociale negli ultimi due decenni del secolo scorso con l’aumento vertiginoso dei
procedimenti penali per abuso e pedofilia: gli imputati di reati sessuali ai danni di minori, con uno
specifico interesse alla propria autodifesa e con una forte capacità di negoziazione sociale e
giuridica, sono diventati, direttamente o indirettamente, un importante committente di difese e
perizie legali, di pressioni giornalistiche, di ricerche sperimentali (Pope, Brown, 1996).
La committenza dei clinici spinge comunque a tenere la mente aperta a diversi ipotesi piuttosto che una sola.
Il committente bambino chiede in ogni caso di essere ascoltato...(...) La committenza dell’indagato e dell’imputato è maggiormente rigida: essa non chiede “Voglio essere compreso”, bensì - inevitabilmente – “Voglio essere scagionato!”.
(...) Non si può introdurre nella mente di un bambino un falso ricordo che non sia in qualche modo plausibile, già presente nei suoi script interni.
Si può costruire sperimentalmente nella memoria di un bambino il falso ricordo di uno smarrimento in un supermercato (Loftus, 1993) perché quello smarrimento riguarda un’esperienza già vissuta (magari in forme analoghe) o temuta dal bambino. Un analogo
tentativo di indurre un falso ricordo di un clistere anale invasivo ha ottenuto l’0% di successo nei
soggetti sperimentali (Pezdek, 1995).
(...)Le vittime tendono per lo più a rimuovere o a espellere dalla mente e non già a comunicare la
violenza subita. Una buona parte di queste violenze non sono mai state esplicitate a nessuno nel
corso dell’infanzia e dell’adolescenza. Solo una ridottissima percentuale (2, 9%) ha denunciato
all’autorità giudiziaria l’abuso sessuale subito. La maggior parte degli abusi rimane chiusa dal
silenzio e dal senso di colpa della vittima, avvolta nel segreto e nell’imbroglio, in una
sintomatologia che perde sempre più i nessi con le sue cause.
La negazione è intrinseca alla violenza. Non esiste una guerra o sterminio senza un sistema di propaganda impegnato a dimostrare la legittimità di quegli eventi o a sostenere che non si ha a che fare con guerra e sterminio, bensì con iniziative nobili e necessarie.
Non esiste storia di un genocidio senza una schiera di negazionisti o revisionisti tesi a dimostrare che a ben vedere genocidio non c’è stato.
Il furto di verità accompagna sempre la violenza sul bambino.
L’abuso si produce in due tempi: c’è il tempo dell’azione in cui si consuma il coinvolgimento sessuale e c’è il tempo della negazione nel quale l’adulto abusante trasmette al bambino il messaggio metacomunicativo implicito od esplicito: “Non devi accorgerti che questa è violenza…”, “Non è abuso, tutti i padri lo fanno…”ecc.
Nello scenario dell’abuso c’è un autore della violenza che attraverso la minaccia e il diniego punta a isolare la vittima dalle comunicazioni con il contesto sociale.
C'è poi un bambino che non riesce a porsi come emittente efficace della comunicazione per la presenza di pesantissimi ostacoli esterni ed interni alla rivelazione.
C'è infine un adulto, potenziale ricevente delle comunicazioni del bambino che spesso fa barriera all’ascolto delle emozioni e quindi lascia cadere di fatto le richieste di soccorso del bambino e i suoi tentativi di individuare e mettere alla prova un interlocutore adulto meritevole di fiducia.
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